I procedimenti disciplinari e l’attribuzione ai magistrati di incarichi direttivi.
Con la sentenza n. 1351 del 7 febbraio 2023 il Consiglio di Stato affronta la questione della rilevanza, ai fini dell’attribuzione di incarichi direttivi, di un procedimento disciplinare pendente nei confronti di un magistrato, alla cui base vi sono alcune conversazioni, trasmesse dalla Procura della Repubblica al Consiglio Superiore della Magistratura, intercorse in forma di messaggistica telefonica, “nelle quali l’odierno appellante, ai fini del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, avrebbe sostenuto la candidatura di alcuni colleghi (anche per ragioni di appartenenza correntizia) e avrebbe usato espressioni denigratorie nei confronti di altri”.
Il Consiglio di Stato, richiamando alcuni precedenti conformi, conclude “nel senso della rilevanza giuridica dei procedimenti disciplinari pendenti ai fini del conferimento degli incarichi direttivi” in favore dei magistrati, in ragione delle previsioni contenute nell’art. 36, sub a) e sub i), del Testo unico sulla Dirigenza giudiziaria, le quali attribuiscono “all’Organo di autogoverno un ampio quadro conoscitivo a sostegno delle proprie discrezionali valutazioni, ferme restando le situazioni tassativamente preclusive (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VII, 27 aprile 2022 n. 3309)”.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada, tale quadro conoscitivo può essere senz’altro arricchito dal contenuto “delle conversazioni telefoniche [intercorse in forma di messaggistica] legittimamente acquisite dall’Organo di autogoverno” a seguito della trasmissione al Consiglio Superiore della Magistratura degli atti relativi a notizie di reato o a un procedimento penale in corso o definito nei riguardi di un magistrato.
Le conversazioni telefoniche intercorse in forma di messaggistica (quali e-mail, sms e messaggi whatsapp) “hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 cod. proc. pen. (Cassazione penale, Sez. VI, 12 novembre 2019 n. 1822)”. Disciplina che invece trova applicazione nel caso della “intercettazione di email o altri messaggi similari (che di solito si attua attraverso la clonazione dell’account di posta elettronica dell’indagato e immediata trasmissione dei dati presso una postazione di decodifica), la quale si caratterizza, invece, per la contestualità tra la captazione dei messaggi e la loro trasmissione e, quindi, ha ad oggetto un flusso comunicativo in atto e in ragione di ciò l’art. 266-bis c.p.p. predispone, proprio perché trattasi di un’attività di intercettazione telematica, una tutela rafforzata e l’adozione delle garanzie relative ai presupposti di applicabilità e alla necessità della autorizzazione giurisdizionale (Cassazione penale, Sez. III, 16 aprile 2019 n. 29426)”.
Tommaso Di Nitto
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