Il giudice tributario e la rideterminazione dell’imponibile e dell’imposta
Riceviamo dal Dott. Roberto La Rosa, Dottore commercialista, Revisore legale, e volentieri pubblichiamo.
Ribadendo un principio oramai consolidato, con l’ordinanza 6 aprile 2020, n. 7695, la Corte di Cassazione ha affermato che “il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario”.
Il giudice tributario non è perciò costretto tra le alternative di confermare ovvero di annullare l’atto impositivo, ben potendo estendere il suo vaglio al diritto sostanziale dedotto.
Il processo, dunque, non si arresta al momento demolitorio, che tuttavia potrebbe essere determinante nelle ipotesi di vizi inficianti l’atto (es. omessa sottoscrizione dell’avviso di accertamento, atto emanato da Ufficio non competente, etc.), se ritualmente eccepiti.
Il giudicante, qualora non ritenga che l’atto sia invalido per motivi strettamente formali, nei limiti posti del petitum delle parti può procedere all’esame della pretesa “nel merito” e, operando una motivata valutazione, ricondurla eventualmente alla giusta misura.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato l’operato della C.T.R. che aveva ridotto nel quantum l’imponibile accertato, alla luce delle giustificazioni addotte dai contribuenti, sulla base di altro parametro rispetto a quello utilizzato dall’ufficio erariale. Ulteriormente precisando che ciò costituisce un corretto esercizio dei poteri istituzionali da parte del giudice di merito, e non già l’uso di un potere equitativo sostitutivo.
Tali conclusioni offrono un importante spunto di riflessione per chi vuol contestare un atto impositivo innanzi il giudice speciale.
L’impugnazione deve mirare non soltanto a ottenere la caducazione dell’atto, non deve cioè limitarsi a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’atto e/o del procedimento nelle sue varie fasi, ma deve essere lo strumento per sottoporre alla cognizione del giudice il sotteso rapporto, al fine di una sua diversa regolazione.
Pertanto, alla base, è necessario un confronto collaborativo tra professionista e cliente, al fine di individuare con precisione gli elementi utili alla esatta ricostruzione del “fatto”, e conseguentemente gli effetti giuridici a questo riconducibili, affinché con il ricorso si ponga il giudice adito nella condizione di (ri)determinare correttamente la manifestazione di capacità contributiva e il prelievo oggetto di indagine, nonché di motivare adeguatamente il suo convincimento.
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